Con fotopetizioni, tweetmob, presidi davanti al Ministero e a tutti gli ospedali d’Italia, migliaia di studenti in si sono mobilitati, in questi giorni, contro il numero chiuso e il sistema assurdo dei test d’ingresso, rivendicando il diritto a scegliere liberamente il proprio percorso di studi.
Alle assemblee e alle mobilitazioni di è accompagnato un dibattito pubblico ampio, alimentato dalle assemblee che l’UDU e la Rete degli Studenti Medi hanno portato nelle scuole e nelle università, che ha coinvolto studenti, genitori, insegnanti, giovani medici, e che è passato dalla stampa, dal Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari, per arrivare fino alle porte del Ministero e del Parlamento.
Una pluralità di voci, e di volti, che vogliono essere ascoltati e che chiedono alla politica e al Governo, di ricominciare ad occuparsi davvero d’istruzione, di scuola e università, del futuro di migliaia e migliaia di giovani.
Dopo anni di politiche di contrazione e smantellamento dell’istruzione pubblica, si chiede una svolta reale. Un esigenza che, nel Paese con il più basso numero di laureati d’Europa e con il 43% di disoccupazione giovanile, sembrerebbe scontata, dovrebbe richiamare ad un ovvia responsabilità di chi guida il Paese.
Si è scelto, invece, ancora una volta, il silenzio. Il Governo, che ha iniziato il suo mandato dichiarando la centralità dell’istruzione, si sottrae al confronto e alle richieste degli studenti, rimandando a data da destinarsi le risposte.
Anzi, una prima risposta è arrivata dal decreto IRPEF: da venerdì scorso si rincorrono le voci, prima smentite, poi confermate dalle bozze e dalle dichiarazioni del Ministro Giannini, di tagli all’FFO per 30 milioni di euro nel 2014, 45 a decorrere dal 2015 più imprecisati tagli ai fondi di ricerca. Secondo alcune fonti, questi tagli sarebbero poi scomparsi dalle ultime bozze di Decreto in circolazione, sostituiti da esigue riduzioni nell’acquisto di beni e servizi del Ministero.
In attesa di verificare il testo ufficiale del Decreto, e le effettive coperture, questa vicenda dimostra ulteriormente che l’università e la ricerca non sono affatto centrali nell’agenda di Governo e che il sistema Universitario continua ad essere considerato un settore da cui recuperare risorse, ignorando completamente la condizione critica in cui versa, e le richieste degli studenti.
Manca una visione di prospettiva, un riconoscimento sostanziale della centralità dell’istruzione, e si lascia il sistema in balia dell’incertezza. Senza finanziamenti stabili e adeguati, è impossibile costruire un sistema che garantisca l’accesso a tutti e la qualità del percorso formativo, e l’estensione del numero chiuso a quasi il 60% dei corsi di laurea è, in parte, conseguenza dei tagli, delle restrizioni e delle politiche di valutazione punitive, che si sono susseguiti in questi anni.
All’università italiana non bastano più le briciole, è indispensabile invertire la tendenza, ricominciando a programmare gli investimenti in una visione di lungo periodo, nel contesto di un sistema di valutazione reale ed efficace.
Ma la premessa per far questo è considerare l’istruzione un diritto di tutti e una risorsa indispensabile. Una priorità del Paese, e non uno slogan mediatico. Lo chiedono gli studenti e le studentesse di tutta Italia.
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