Il problema delle disuguaglianze è più che mai attuale nel nostro Paese: una quota sempre maggiore della popolazione, soprattutto nelle periferie delle grandi aree metropolitane e nelle regioni del Sud del Paese, è relegata ai margini della società e non riesce a godere di un’effettiva uguaglianza sostanziale.
Un esempio significativo è rappresentato dalla distribuzione della ricchezza: secondo l’OCSE, il 20% più ricco della popolazione italiana detiene oltre il 60% della ricchezza totale del paese, mentre il 20% più povero ne detiene appena lo 0,4%.
L’Italia ha risposto a questa situazione attraverso una contrazione vertiginosa della spesa per il welfare e di conseguenza delle risorse per il sistema di istruzione.
Negli ultimi anni il mondo dell’ istruzione è stato lo specchio di quanto stava accadendo a tutto il sistema di welfare italiano: dal 2008 ad oggi alle scuole e alle università sono stati sottratti miliardi di euro, con l’intento preciso di svuotare i luoghi d’istruzione della capacità di essere ascensore sociale e strumento di inclusione.
Gli studenti italiani si trovano di fronte a vere e proprie barriere che ostacolano non solo l’accesso ma anche il proseguo dei percorsi di istruzione. Le condizioni socio economiche di partenza rappresentano ancora oggi un fattore discriminante e incidono pesantemente sulle carriere degli studenti.
Secondo l’ultimo rapporto Svimez, la riduzione della capacità dell’istruzione di essere strumento di equità sociale è un fenomeno sempre più diffuso e connesso all’aumento delle disuguaglianze nei paesi avanzati. Questo si verifica in modo particolare in Italia, dove il fenomeno si realizza con un’intensità maggiore e con la peculiarità di concentrarsi in precise aree territoriali e in precise tipologie di scuole, come gli istituti tecnici e professionali, molto spesso diventati veri e propri luoghi di segregazione educativa e sociale.
Il nostro è un Paese che ha fallito nell’attuazione dell’articolo 34 della Costituzione: gli strumenti del diritto allo studio, che dovrebbero permettere l’accesso ai più alti gradi dell’istruzione agli studenti privi di mezzi, sono purtroppo diventati un privilegio appannaggio di pochi.
Il nostro è un sistema di istruzione che scarica il problema del proprio sotto-finanziamento pubblico su studenti e famiglie, le quali si trovano ad affrontare spese ingenti, in molti casi insostenibili, con l’inevitabile conseguenza dello svuotamento di scuole ed università.
Queste situazioni assumono connotati ancora più drammatici al Sud: il ritardo di sviluppo di quest’area, caratterizzato da un più alto tasso di disoccupazione, dalla più elevata diffusione dell’esclusione sociale, dalla mancanza di servizi pubblici efficienti e dall’illegalità estesa in alcuni territori, rende il compito dell’istruzione chiaramente più difficile che in altre aree del Paese, ma al tempo stesso ancora più importante.
La mancata consapevolezza del valore dell’istruzione come settore strategico per la ripresa del nostro paese ha notevoli ripercussioni sul fronte dell’accesso al lavoro di studenti e giovani che hanno terminato gli studi.
Il rapporto Svimez spiega chiaramente che dal 2008 in Italia è diminuito il numero di occupati che posseggono un titolo di studio alto o medio, mentre è aumentata la richiesta relativa alle professioni che richiedono un titolo di studio basso. Questi dati allarmanti sono lo specchio di un sistema produttivo che investe principalmente in settori tradizionali a scarso contenuto di conoscenza e di innovazione, caratterizzati da un alto tasso di sostituibilità del lavoro e che, pertanto, hanno scarsa domanda di profili qualificati.
In un paese che ha il più basso tasso di giovani laureati d’Europa e al tempo stesso uno dei più alti di disoccupazione giovanile, è evidente come si debba innalzare il livello d’istruzione generale e incidere sulle caratteristiche del sistema economico-produttivo che lo rendono incapace di assorbire e valorizzare lavoratori qualificati.
Per il nostro Paese una situazione del genere non è più sostenibile: invece di giustificare l’umiliazione del proprio sistema d’istruzione con la scusa del pareggio di bilancio, o attraverso l’utilizzo strumentale e distorto di merito e valutazione, la classe dirigente dovrebbe piuttosto interrogarsi sui costi sia sociali che economici che derivano da queste disuguaglianze.
L’articolo 3 della Costituzione recita: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Per questo vogliamo un paese “più uguale”. Vogliamo un paese in cui l’uguaglianza sostanziale sia effettiva. Vogliamo un paese in cui le opportunità non siano per pochi. Vogliamo un paese che abbatta le disuguaglianze e rimetta in moto un ascensore sociale fermo ormai da troppi anni.
Vogliamo un Paese che metta in campo serie politiche di redistribuzione della ricchezza.
Vogliamo un paese con più welfare e più risorse, a partire dall’istruzione.
Nel redigere la legge di stabilità, il Governo non sembra avere nessuna intenzione di andare verso questa direzione. Le misure adottate in tema di scuola ed università rappresentano interventi estemporanei e non intervengono sui problemi strutturali. Non c’è traccia di investimenti consistenti sul sistema d’istruzione, né di risorse per il diritto allo studio, né tantomeno di misure efficaci per lo sviluppo delle aree più problematiche del Paese.
Chiediamo investimenti sul diritto allo studio, per espandere questo fondamentale strumento e renderlo accessibile ad una platea sempre più elevata di studenti. Chiediamo misure concrete, a partire da quelle relative all’istruzione, per aiutare il Sud a risollevarsi. Chiediamo misure per valorizzare il lavoro, in modo particolare quello dei giovani e degli studenti che, con la loro formazione, tanto possono fare per la ripresa del Paese.
Vogliamo un paese più uguale: più istruzione e meno disuguaglianze creano più futuro.
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