Il nostro punto di vista sul dibattito di questi giorni in tema di ISEE e diritto allo studio, pubblicato su Scuola24
E’ tempo di costruire un diritto allo studio davvero inclusivo
Il diritto allo studio, sancito dall’articolo 34 della Costituzione, in Italia sta diventando sempre più un privilegio per pochi. Gli effetti devastanti delle nuove modalità di calcolo dell’Isee, denunciati dall’Unione degli universitari già da prima dell’introduzione del nuovo indicatore, e descritte dal Scuola24 e dall’articolo dell’onorevole Manuela Ghizzoni , sono solo la punta dell’iceberg di un sistema che, costantemente e irrefrenabilmente, sta espellendo gli studenti dalle università.
Tra il 2014 e il 2015, l’università italiana ha perso 25 mila studenti, di cui 19 mila solo al Sud; come ricordato anche dall’onorevole Ghizzoni, solo 138mila studenti, nel 2014, hanno beneficiato di borse di studio; le tasse universitarie italiane sono le terze più alte d’Europa e le decime più alte al mondo. Non stupiscono pertanto i dati elaborati dal ministero del Lavoro, secondo cui, circa il 50% degli Isee richiesti ai fini universitari, è superiore ai 20 mila euro, contro una media generale delle altre tipologie Isee di meno del 10 per cento. Questi dati confermano che gli studenti che rimangono esclusi dall’università sono soprattutto coloro che provengono da situazioni economiche svantaggiate. Analizzando la situazione da un altro punto di vista, si vede come la concezione del diritto allo studio nello stivale sia estremamente distante da quella degli altri paesi europei: il nostro sistema è decisamente più esclusivo, e coinvolge l’8% degli studenti, a fronte di dati ben più elevati come quelli di Francia e Germania. Questo confronto può portare a due conclusioni: la prima è che nel resto d’Europa la popolazione sia tendenzialmente più povera rispetto alla nostra; la seconda, è che gli altri paesi europei abbiano già messo in campo un sistema del diritto allo studio che si basa su una concezione diversa, volta ad includere una platea decisamente più ampia di studenti, e che pertanto non svolga soltanto un ruolo residuale di assistenzialità nei confronti di una parte estremamente esigua della popolazione. È ovviamente facilmente dimostrabile come la prima ipotesi non rispecchi la realtà, ed è per questo che riteniamo necessario ridefinire il sistema del diritto allo studio e del welfare universitario nella sua interezza.
Le discussioni da aprire e da proseguire affinché il sistema cambi sono molteplici. Come richiamato dai dati precedenti, il diritto allo studio ha in Italia un’incidenza residuale perché offre sostegno ad una platea troppo limitata di studenti (al massimo, in alcune regioni, a quelli con Isee inferiore ai 21 mila euro); oltretutto, anche con questo scenario, le falle che si presentano sono molteplici. Innanzitutto, ci troviamo di fronte al dramma degli idonei non beneficiari, che rappresentano il 25% circa degli aventi diritto; in secondo luogo, i servizi offerti dalla borsa di studio (e quindi il suo valore) risultano insufficienti e incapaci di garantire un effettivo sostenimento delle spese che gli studenti si trovano ad affrontare.
È stato da poco aperto il tavolo per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni del diritto allo studio. Questo tavolo dovrà essere l’occasione per definire Lep estesi ed inclusivi, non soltanto in riferimento ai servizi offerti a chi beneficerà della borsa di studio, ma anche per stabilire una serie di servizi accessibili alla generalità degli studenti. Parliamo a esempio dei servizi abitativi: in Italia solo il 2% degli studenti accede alle residenze gestite dagli enti per il diritto allo studio e dalle università, e addirittura in alcuni atenei questo servizio è del tutto assente. Risulta pertanto fondamentale un investimento consistente nelle residenze universitarie, anche a fronte di un mercato privato in cui il nero è dilagante e in cui le spese legate all’affitto sono esorbitanti, rappresentando spesso una vera e propria discriminante che incide sulla scelta della città di studi, o peggio ancora, sulla possibilità stessa di intraprendere o proseguire il percorso universitario.
Discorso simile per i trasporti: si tratta da un lato di migliorare l’offerta agli studenti, dall’altro, di definire agevolazioni specifiche per gli studenti, tanto sul piano locale quanto sul piano nazionale. A questi elementi si aggiungono le mense, le spese per i materiali didattici, l’accesso alla cultura. Sono tutte voci di spesa, che, sommate insieme, incidono fortemente nei bilanci delle famiglie italiane e pertanto una garanzia di copertura risulta fondamentale se si intende fermare lo svuotamento delle università. In questo senso, è innanzitutto necessario innalzare significativamente le soglie per accedere alle borse di studio, e, a fronte di questo innalzamento sostanziale, anche pensare di differenziare l’importo della borsa in base al reddito effettivo degli studenti. Tutti questi servizi, non soltanto dovranno essere fruibili dai vincitori di borsa di studio, ma dalla generalità degli studenti, i quali potranno accedere, ad alcuni di essi, in modo completamente gratuito, ad altri, contribuendo in base alla propria condizione economica.
Questo discorso deve procedere parallelamente alla riduzione delle tasse universitarie e alla creazione di una no tax area per i redditi più basi. Riteniamo che le proposte depositate in Parlamento, e particolarmente quella a firma dell’onorevole Ghizzoni, rappresentino una buona base di partenza, e che il Parlamento dovrebbe assumersi la responsabilità politica di iniziare a discuterne. Dobbiamo dare uniformità e progressività sul territorio nazionale e guardare alla prospettiva di un sistema che tenda alla gratuità dell’istruzione, come già accade in buona parte dell’Europa continentale.
Soltanto intervenendo su questi aspetti, cioè abbattendo significativamente i costi legati alla formazione superiore sarà possibile avere un sistema universitario realmente accessibile, indipendentemente dalla condizione economica dello studente. Altra questione fondamentale sollevata dall’onorevole Ghizzoni riguarda l’ampliamento dell’offerta formativa post secondaria. Da un lato, è necessario aprire una discussione sui titoli di studi professionalizzanti, che in Italia sono principalmente erogati dagli Its, istituti che purtroppo, fino ad ora, si sono mostrati inefficaci. Parallelamente a questo discorso, non si è mai realmente sciolta la questione dei titoli di laurea professionalizzanti, che nel contesto europeo invece si identificano spesso nelle lauree triennali. L’esigenza di fondo è quella di sviluppare anche in Italia una formazione tecnica specialistica di livello post secondario, nell’ottica di superare la differenziazione tra percorsi di “serie A” e di “serie B” e di evitare l’inserimento precoce nel sistema lavorativo. Questo risulta essere un passo fondamentale, anche per costruire una risposta concreta alla retorica del miss match delle competenze offerte dal sistema di istruzione e quelle richieste dal mercato del lavoro, che invece è stata costruita per trovare un alibi ad un sistema economico incapace di inserire e valorizzare profili altamente qualificati.
Sono queste tutte sfide necessarie per rilanciare l’università italiana. È certamente vero che queste comporteranno uno sforzo dell’ “intelligenza tecnica”, ma è soprattutto necessario un cambiamento della mentalità politica, che deve tornare a considerare l’investimento nell’istruzione, in modo particolare quella post secondaria, lo strumento fondamentale per il rilancio economico e culturale del Paese, per la riduzione delle disuguaglianze e per la riattivazione di quell’ascensore sociale fermo ormai da troppo tempo. Fino ad ora è prevalsa da noi la retorica della meritocrazia, l’idea per cui si salva soltanto chi nasce “bravo” e con i mezzi per realizzarsi, trasmettendo l’idea che un’università di massa non sia necessaria, riducendo il valore della formazione terziaria e allontanandoci sempre più dalle sfide della società della conoscenza. Se ci sarà questa volontà, invece, queste sfide saranno vinte: studenti e famiglie torneranno a considerare l’università come un investimento sul futuro, senza che questo sia ostacolato da impedimenti di ordine economico e sociale.
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