FFOIl MUR ha emanato l’8 agosto il decreto sulla programmazione triennale delle università italiane, confermando e anzi peggiorando l’indirizzo profondamente critico già contenuto nella bozza, che era anche stata analizzata dal CNSU.

Dichiara Elisa Marchetti, coordinatrice nazionale dell’Unione degli Universitari: “Il decreto emanato l’8 agosto sulla programmazione triennale risulta ancora una volta pieno di criticità, e il parere dato dal Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari nel mese di giugno è stato quasi del tutto ignorato. I punti critici riguardano innanzitutto l’impostazione generale: si prevede infatti una diminuzione sostanziale della quota base dell’FFO, prevista al 67% nel 2016, al 65% nel 2017 e al 63% nel 2018. A questo si aggiunge il peso crescente del costo standard per studente e l’aumento delle risorse destinate agli interventi specifici, dato che risulta difficile da analizzare in quanto in questa voce è contenuta anche la quota perequativa. Anche la definizione degli obiettivi risulta critica: se su carta, infatti, questi possono apparire positivi, tuttavia nella maggior parte dei casi gli indicatori connessi risultano del tutto non funzionali ad un corretto raggiungimento. Basti pensare al fatto che non sono affatto valorizzati i risultati dei questionari di valutazione degli studenti. Un’analisi a parte  va fatta sull’obiettivo C, che più degli altri risulta critico: si va infatti ad incentivare l’assunzione di ricercatori di tipo “A”, misura alquanto problematica se si considera la precarietà di queste figure e l’ampio utilizzo che di esse si fa nel sistema italiano proprio per sopperire alla carenza di personale docente; a questo, inoltre, si aggiunge l’incentivo per i premi per merito. Mettere in campo queste azioni è del tutto inutile, anzi, rischia di essere nocivo se non si provvede preventivamente ad una revisione generale della programmazione della docenza”.

Continua Marchetti:  “Tornando alla programmazione triennale, l’aspetto sicuramente più grave è la disposizione con cui si stabilisce che con decreto del Ministro, sentita l’ANVUR, saranno individuate le classi dei corsi di studio per le quali l’offerta di laureati è già sufficiente a soddisfare i fabbisogni del mondo del lavoro e che per tali classi, a partire dell’anno accademico 17/18, non si potranno istituire nuovi corsi. Riteniamo questa misura inaccettabile, e siamo pronti a dare battaglia. E’ inconcepibile pensare ad una programmazione universitaria basata sul criterio della saturazione del mercato del lavoro, soprattutto in un sistema come quello italiano incapace di assorbire e valorizzare figure con alti livelli di formazione (ricordiamo che, secondo l’ultima indagine Eurostat, l’Italia è penultima in Europa per tasso di occupazione dei laureati). L’università italiana, invece che essere valorizzata, in quanto parte fondamentale per lo sviluppo del tessuto economico, è vittima di un disegno ideologico di sistema “d’eccellenza”, riservato alla formazione di poche altre professionalità, necessarie ad un mondo produttivo che investe principalmente in settori tradizionali a basso contenuto di conoscenza ed innovazione.”

Prosegue la coordinatrice dell’UDU: “Contestualmente al piano sulla programmazione è stato pubblicato il decreto sui punti organico: non c’è nessuna variazione sostanziale rispetto ai criteri dello scorso anno, e pertanto si ripresentano e si acuiscono le stesse numerose criticità. Innanzitutto riteniamo pericolosa, come avevamo già detto durante l’iter di approvazione della legge di stabilità, lo sblocco totale del turn over dei ricercatori di tipo A. Inoltre, l’innalzamento del blocco generale del turn over, fissato per quest’anno al 60%, è ancora troppo basso. Ci troviamo di fronte alla consueta logica distorta di premialità in cui gli atenei perdono punti organico a vantaggio di altri, con evidenti distorsioni di sistema. Analizziamo la distribuzione per aree geografiche: il 48% dei punti organico è assegnato alle università del Nord, contro il 25% del Centro e il 27 del Sud. I punti organico sono aumentati, rispetto all’anno scorso, del 32,36% ma la crescita non è omogenea, andando pertanto a consolidare gli squilibri già presenti: al Nord i PO crescono del 39,86%, al Centro del 28,35% e al Sud solo del 24,26%. Anche rapportando questi dati assoluti al numero di studenti, vediamo che per ogni 1000 universitari il Nord ha a disposizione 0,81 punti, il Centro 0,71 e il meridione 0,61. E’ evidente che un sistema del genere non è più sostenibile”.

Conclude Elisa Marchetti: “Il Ministro, nel suo comunicato stampa, parla di valorizzazione dell’autonomia responsabile e di attenzione agli atenei del Sud, ma questi obiettivi non potranno mai essere attuati senza una netta inversione di marcia sull’investimento di risorse e sui criteri di ripartizione. I decreti emanati in questi giorni non fanno che rafforzare il disegno messo in campo negli ultimi anni, che prevede un sistema universitario sempre più restrittivo e che penalizza intere aree geografiche. L’università italiana deve tornare a giocare un ruolo di primo piano e ad essere realmente il motore dello sviluppo”.

 

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