Calenda_RenziIl Ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, al Forum Ambrosetti di Cernobbio, ha rispolverato la ricetta delle università di eccellenza: finanziamenti ristretti a poche università “d’eccellenza” e un meccanismo di riparto ancor più competitivo di quello attuale, invitando gli atenei alla “scalata dei rating”.

Dichiara Elisa Marchetti, coordinatrice dell’UDU: “Calenda, di fatto, sdogana il ‘modello Human Technopole’, con cui il Governo ha selezionato  e finanziato un centro di ricerca di presunta eccellenza per gestire progetti di ricerca nell’ex area EXPO, utilizzando la retorica competitiva della scelta del “miglior centro” per celare la volontà di calare una decisione arbitraria dall’alto. Il modello riproposto da Calenda è, di fatto, identico: il Ministro sostiene che non si possano fare bandi aperti a tutte le università, ma che, invece, sia necessario lavorare su investimenti settoriali e limitati a 4 o 5 atenei per costruire “competence center, dove le aziende possano lavorare insieme. Avvallare l’inconcepibile principio per cui l’Università e la Ricerca debbano essere al servizio dell’azienda e dell’impresa, oltre che dannoso per le prospettive dello stesso sistema economico, va a minare completamente il principio della libera ricerca e libero insegnamento interno alle Università, che si troverebbero a rincorrere delle necessità imposte da privati”.

Prosegue la coordinatrice dell’Unione degli Universitari: “Il rischio concreto, oltretutto è che questi presunti poli d’eccellenza siano i consueti grandi atenei del Centro-Nord, che a quel punto si troverebbero ad attrarre ulteriori fondi, andando ad aumentare la disuguaglianza di finanziamenti tra le aree geografiche del Paese, come già accade con i criteri esistenti. La competizione tra gli Atenei italiani alla rincorsa dei finanziamenti ha già raggiunto livelli folli. Sarebbe distruttivo inserire un ulteriore livello di competizione”.

Conclude Elisa Marchetti: “Il Ministro Calenda propone un nuovo meccanismo pensato per creare e accentuare le disuguaglianze e dimostra di anteporre le necessità di alcune imprese alla risoluzione dei veri problemi. Da un lato, la scarsità dei fondi pubblici destinati alla ricerca, e in particolare, alla ricerca di base; e dall’altro un tessuto produttivo italiano che investe principalmente in settori tradizionali a scarso contenuto di conoscenza e di innovazione, e che pertanto si avvale solo in minima parte dei risultati della ricerca prodotti nelle nostre università. Come Unione degli Universitari, pertanto, non possiamo che opporci ad un tale modello di università, e ribadiamo con fermezza la nostra richiesta di rifinanziare l’Università pubblica affinché questa possa diventare vero motore di sviluppo sociale, culturale ed economico del Paese, e di creare meccanismi che incentivino realmente la cooperazione e non competizione tra gli Atenei”.

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