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Il Referendum Costituzionale che si terrà nei prossimi mesi rappresenta ormai da tempo il tema
principale intorno a cui verte tutto il dibattito politico e pubblico italiano: sin dall’approvazione in via definitiva alla Camera dei Deputati il 12 aprile scorso, stiamo assistendo ad una campagna elettorale che molto spesso risulta distante rispetto al contenuto stesso della riforma.

Si tratta della più imponente revisione della Costituzione dal momento della sua promulgazione nel 1947, visto che interessa 47 articoli della costituzione e aspetti centrali come il superamento del bicameralismo paritario, la revisione del titolo V, l’abolizione del CNEL e la revisione degli istituti di democrazia diretta: per questo come Unione degli Universitari e Rete degli Studenti Medi avremmo auspicato un dibatto che riuscisse a centrare il merito del d.d.l. Boschi, spiegandone gli aspetti più importanti e informando i cittadini chiamati al voto.

Da subito, però, è stato chiaro come il contenuto della riforma lasciasse il passo a tatticismi e posizionamenti politici. Lo stesso Presidente del Consiglio, nel definire il d.d.l. Boschi come la riforma che l’Italia aspetta da 20 anni, ha impostato di conseguenza la campagna referendaria, di fatto in chiave plebiscitaria, collegando l’esito della consultazione alla sua stessa permanenza in politica: un errore che come sindacati studenteschi condanniamo profondamente, visto che la Costituzione sopravvive ai singoli, poiché rappresenta il perimetro democratico entro cui devono muoversi le Istituzioni.

D’altro canto, molti esponenti del “NO” non hanno voluto riportare il confronto sui contenuti della Riforma, bensì hanno preferito giocare sullo stesso piano del Presidente del Consiglio, trascinando il dibatto sulle posizioni di “Renzi sì” – “Renzi no”, rischiando di intaccare l’importanza stessa della Costituzione. Errori gravi, specie in un momento di profonda disaffezione alla vita democratica del Paese, e quindi alla politica, per cui è necessario che il Referendum costituzionale rappresenti un momento di grandissima partecipazione, specie tra i giovani che troppo spesso rinunciano al voto.

Come UDU e Rete degli Studenti Medi abbiamo da subito iniziato campagne di sensibilizzazione sul tema, prevedendo momenti di confronto e dibattito, soffermandoci sui punti nodali del d.d.l. Boschi. 

A nostro avviso, il testo approvato dalla maggioranza rappresenta una riforma assai poco chiara, sia a livello formale, sia contenutistico, che rimanda molto alle leggi di attuazione e alla modifica dei regolamenti parlamentari. È possibile, però, individuare sin da ora gli aspetti più controversi, discussi e a nostro avviso sbagliati di tale riforma.

A cominciare dal nuovo Senato, che cambia nella composizione e nella competenze. Si passa, infatti, da 315 a 100 senatori non più eletti direttamente dai cittadini, bensì indicati tra Consiglieri regionali e Sindaci, fatta eccezione per 5 che sarebbero nominati dal Presidente della Repubblica. Non è ben chiara la modalità con cui tali consiglieri e sindaci saranno scelti, in quanto tale aspetto sarà normato da una legge ordinaria che dovrà essere approvata da entrambe le Camere; di sicuro però viene meno il rapporto tra elettori ed eletti, nel tentativo di trasformare il Senato in camera delle Regioni. Se però si guarda alle competenze del nuovo Senato ci si rende subito conto come questa assomigli troppo a un “dopolavoro” per chi già ricopre altri ruoli amministrativi e sia invece ben distante da tutti gli altri modelli presenti nel mondo di Senato federale. Infatti non solo i nuovi senatori non parteciperanno al voto di fiducia al Governo, ma avranno anche pochissima capacità di incidere sull’iter legislativo in quei ristrettissimi casi indicati espressamente dalla nuova Costituzione.

È da evidenziare poi come il nuovo testo preveda altre significative modifiche all’iter legislativo, specie relativamente alla legislazione d’urgenza, per cui verrebbe prevista una corsia preferenziale: infatti, il Governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare, entro cinque giorni dalla richiesta, che un disegno di legge indicato come essenziale per l’attuazione del programma di governo sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla pronuncia in via definitiva della Camera dei Deputati entro il termine di settanta giorni dalla deliberazione. Tale modifica rappresenta una formula estremamente più permissiva della precedente, specie se si considera che i limiti e le modalità del ricorso a questo procedimento sono poi demandati al regolamento della Camera dei Deputati, regolamento la cui legittimità costituzionale è insindacabile da parte della Corte Costituzionale.

Il d.d.l. Boschi interessa anche quelli che sono gli istituti di democrazia diretta, come il referendum abrogativo e la legge di iniziativa popolare. Per quanto riguarda il primo caso la Riforma prevede due possibili vie: raccolta di almeno 500.000 firme e quorum da raggiungere per far sì che la consultazione sia valida fissato al 50%+1 degli elettori, oppure raccolta di almeno 800.000 firme e quorum fissato al 50%+1 dei votanti nella precedente tornata elettorale della Camera dei Deputati. Nel caso delle LIP, invece, le firme necessarie passano da 50.000 a 150.000: una volta raccolte, però, la Camera sarebbe  obbligata a calendarizzare la discussione della LIP in oggetto. Tuttavia va sottolineato che il testo della riforma indica che le modalità di “obbligo” sulla calendarizzazione andranno definite nei regolamenti parlamentari in un futuro indefinito.

In un momento di profonda disaffezione alla politica, in cui sempre meno cittadini si recano a votare, tale intervento ci sembra profondamente sbagliato in quanto va in direzione contraria rispetto ad una necessaria inversione di tendenza, che vada verso una maggiore partecipazione popolare.

Dopo gli interventi del 2001 e del 2006, nuovamente è stato riformato il Titolo V, ossia quella parte di Costituzione che disciplina i rapporti tra Stato e Regioni. La riforma rivede completamente l’insieme delle materie di competenze statali e regionali, rispetto alla quella del 2001.

Con il nuovo testo si cancellano i principi contenuti nella scorsa riforma della Costituzione, eliminando la competenza concorrente e riducendo il potere legislativo delle Regioni: di fatto, si cerca di tornare a una divisione “netta” tra competenze dello Stato e competenze delle Regioni. In realtà la competenza concorrente continuerà a esistere per tutte quelle materie dove la competenza esclusiva dello Stato sarà limitata alle cosiddette “disposizioni generali e comuni”. La Corte Costituzionale ha più volte indicato come la ripartizione delle competenze in base alle materie sia stata una delle motivazioni alla base di diversi contenziosi tra Stato e regioni: non si è sfruttata la riforma costituzionale per trovare una soluzione a questo problema.

Inoltre, “su proposta del Governo, la Legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”. Con una formula assai vaga e poco chiara, “in nome dell’interesse nazionale”, il Governo potrà proporre al Parlamento di intervenire sul piano legislativo anche in materie di competenza esclusiva delle regioni, palesando una forte tendenza accentratrice, in controtendenza rispetto ad un assetto che valorizzi le autonomie locali e il principio di sussidiarietà.

Venendo a ciò che più direttamente ci riguarda, per la prima volta il diritto allo studio universitario è citato esplicitamente nell’ambito delle competenze esclusive delle regioni, ma solo per quanto riguarda la sua “promozione”.

Se da un lato questa modifica potrebbe rappresentare, almeno in linea teorica, il primo passo per una reale garanzia di uniformità del diritto allo studio su tutto il territorio nazionale, in quanto la competenza sulle norme generali e di indirizzo spetterebbe allo Stato, dall’altro lato, si rischia che questa formulazione costituzionale possa andare nella direzione di rendere il sistema ancora meno efficiente e lontano dalle reali esigenze degli studenti.

Ad esempio, non viene chiarito a livello costituzionale, e nemmeno nella discussione parlamentare, se debba essere compito dello Stato garantire investimenti utili a fornire la copertura totale del diritto allo studio. Con lo spostamento delle competenze sul piano nazionale, è inevitabile che si verifichi una contrazione degli aspetti oggetto di contrattazione territoriale.

L’occasione persa di una riforma costituzionale che avrebbe potuto rappresentare un’importante occasione per rimettere in discussione non soltanto l’impianto formale, ma anche la visione generale del diritto allo studio, dimostra l’inesistente volontà dello Stato all’investimento politico ed economico su questo fronte. Il fatto stesso che il cambiamento delle competenze sia stato fatto senza discutere con le associazioni di rappresentanza studentesca, e le osservazioni e le richieste di chiarimenti siano passate sotto traccia, dimostra come questo cambiamento delle competenze sia frutto di un riordino “tecnico” delle competenze e non la reale volontà da parte dello Stato di riportare la competenza a livello statale al fine di spostare anche la responsabilità per quanto riguarda la garanzia della copertura completa delle borse di studio e dell’erogazione di servizi del diritto allo studio in modo uniforme sul territorio nazionale.

Per fare un’analisi completa della Riforma Boschi non si può prescindere dal prendere in considerazione anche gli effetti del combinato disposto con la legge elettorale. Va infatti tenuto presente che l’Italicum prevede l’assegnazione di 340 deputati, pari al 54%, alla lista che risulta vincitrice al ballottaggio: tali numeri avranno un’influenza considerevolmente più alta, vista la riduzione sia di competenze che di composizione del Senato. C’è il serio rischio che un partito risultato scarsamente rappresentativo al primo turno delle elezioni, vincendo al ballottaggio, si trovi ad esercitare un potere di fatto egemone.

Le prime evidenti distorsioni di tale meccanismo si riscontrano nelle modalità di elezione del Presidente della Repubblica, il quale potrà essere eletto da maggioranze sempre più risicate man mano che si va avanti con le votazioni, fino ad arrivare ai ⅗ dei votanti dalla settima votazione, aprendo, quindi, la strada ad una possibile elezione per mano del solo partito di maggioranza.

La riforma costituzionale interviene anche sulla componente di elezione parlamentare dei giudici della Corte Costituzionale. Allo stato attuale, la Costituzione in vigore prevede che questi giudici siano eletti in seduta comune da Camera e Senato e la Legge Costituzionale n. 2 del 1967 disciplina le modalità di elezione: maggioranza dei ⅔ per le prime due votazioni e dei ⅗ dalla terza votazione. La riforma suddivide l’elezione della componente parlamentare in due “quote”: 3 giudici verranno eletti dalla Camera e 2 dal Senato. Secondo lo stesso servizio studi del Senato questo intervento determinerebbe l’abrogazione implicita della legge costituzionale citata che espressamente si riferisce ad un contesto di Camere riunite in seduta comune, determinando quindi il venir meno di una disciplina di elezione applicabile.

Questi a nostro avviso sono gli elementi più problematici di una Riforma che è stata presentata come necessaria per andare verso una semplificazione dell’apparato statale e assicurare quindi incisività, permettendo all’Italia di uscire dal guado. A nostro avviso, invece non rappresenta in alcun modo un miglioramento dell’attuale Carta fondamentale, anzi troppo spesso appesantisce o peggio rende poco chiari alcuni iter. Infine non va a sciogliere alcuni di quelli che sono gli aspetti più dibattuti dalla giurisprudenza costituzionale e dalla politica italiana, come ad esempio il tema del Senato che non è stato né abolito né trasformato in senso federale, ma semplicemente ridimensionato per importanza.

Per questi motivi, come Unione degli Universitari e Rete degli studenti medi diamo il via alla campagna: “kNOw – conoscere per dire NO” con la quale #diciamoNO ad una riforma sbagliata nei contenuti. Nei prossimi mesi porteremo avanti il nostro ruolo di sensibilizzazione e informazione sulla Riforma, indicando quelle che sono le ragioni che hanno portato le nostre organizzazioni ad esprimersi per il NO e ci impegneremo a massimizzare la partecipazione al voto, anche attraverso la facilitazione all’accesso a strumenti per votare fuori sede.

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