Ripartire dai diritti per combattere la violenza contro le donne

La giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne è una ricorrenza istituita il 17 dicembre 1999, quando l’Assemblea Generale dell’ONU ha ufficializzato una data che fu individuata nel 1981 da un gruppo di donne attiviste riunitesi nell’Incontro Femminista Latinoamericano e dei Caraibi, tenutosi a Bogotà. La data fu scelta in ricordo del brutale assassinio nel 1960 delle sorelle Mirabal, che, mentre si recavano a far visita ai loro mariti in prigione, furono bloccate sulla strada da agenti del Servizio di informazione militare dominicano, furono torturate e massacrate, per poi essere gettate in un precipizio a bordo della loro auto, per simulare un incidente. Le tre sorelle, che prima dell’incarcerazione, liberazione e successivo omicidio, facevano parte del “Movimento 14 giugno” di opposizione al generale Rafael Leònidas Trujillo, furono ricordate come esempio di donne rivoluzionarie per l’impegno con cui tentarono di contrastare il regime del dittatore della Repubblica Dominicana.

Questa data venne accolta in Italia dal 2005, quando alcuni centri antiviolenza iniziarono a celebrarla, ma negli ultimi anni è diventata una data in cui vari soggetti celebrano la ricorrenza con iniziative politiche.

Questa giornata, per le nostre Organizzazioni, diventa un momento importante per rivendicare una società che sappia essere inclusiva, accessibile, aperta e sicura, per lottare contro ogni forma di discriminazione e di violenza. Crediamo, infatti, che sia assolutamente necessaria un’azione culturale volta a scardinare un certo tipo di cultura ancora molto diffusa nel nostro Paese, ancora oggi incapace di riconoscere a pieno e contrastare la violenza di genere.

Molto spesso la discussione sulla questione di genere si limita, a livello mediatico, a pochi aspetti, connotati da una facile “visibilità” e trattati in modo limitato. Basti pensare al recente e acceso dibattito sull’opportunità di chiamare le prime cittadine “sindaco” o “sindaca”. Una questione senza dubbio importante, ma che non tocca la radice del problema: una donna ha davvero le stesse opportunità reali di un uomo di diventare sindaco/a? Quello che non emerge è quali siano le possibilità per le donne di accedere al mondo del lavoro e agli incarichi più elevati; come i sistemi di welfare garantiscano alle donne, soprattutto se madri e lavoratrici, la propria libertà e autodeterminazione; come si possano scardinare gli stereotipi relativi al ruolo della donna nella società; perché sia fondamentale sviluppare una discussione sui generi e perché il tema della violenza sulle donne sia affrontato anche e soprattutto da un punto di vista maschile.

Affrontare tutti questi aspetti, con l’obiettivo di creare una discussione di rilevanza mediatica e politica a 360 gradi è per noi fondamentale.

Dall’inizio del 2016 i dati ufficiali parlano di 116 casi di femminicidio: una donna uccisa ogni tre giorni, con la prevalenza (il 75,9% dei casi) di omicidi avvenuti all’interno dell’ambito familiare. L’Osservatorio Eures sottolinea come dal 2000 a oggi i casi di femminicidio siano oltre 2800. Il continuo presentarsi di moventi riconducibili a stereotipi di genere evidenzia una situazione in cui, oltre a non esserci sostanziali miglioramenti, si rischiano seri peggioramenti, vista l’assenza di un’azione culturale e sociale efficace che possa porvi rimedio.
L’estremo esempio di violenza è solo purtroppo solo la punta dell’iceberg. Non ci si può infatti dimenticare degli innumerevoli elementi di violenza non-fisica e delle forti discriminazioni: in Italia, secondo i dati ISTAT, le neo-madri che hanno lasciato o perso il posto di lavoro sono passate dal 18,4% al 22,4%, quasi una su quattro; secondo i dati della Fondazione WageIndicator, nel 2015, lo stipendio mediano lordo per un uomo in Italia era di 2.333 euro, mentre per una donna era di 1.867 euro. Fin dall’uscita dai luoghi della formazione, verso l’ingresso del mondo del lavoro, esiste una forte diseguaglianza: pur essendo la composizione di immatricolati, iscritti e laureati in università maggiore per quanto riguarda la componente femminile, nel 2014 il 20,7% delle donne laureate, a un anno dalla laurea, non lavora e non prosegue ulteriormente gli studi, a fronte di una percentuale della componente maschile del 15,3%.
Questi dati sul mondo del lavoro sono ovviamente influenzati anche dall’assenza di un sistema di welfare che riesca a tutelare appieno la figura femminile, e ancor più elementi fondamentali nell’ambito della tutela della salute: secondo dati dello stesso Ministero della Salute, in Italia sono attivi solamente 2354 Consultori familiari, 1 ogni 25.771 abitanti; nonostante l’istituzione nel 1978 della Legge 194 sulla tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, oggi solamente il 60% delle strutture sanitarie dotate di un reparto di Ostetricia e Ginecologia effettua interruzioni volontarie di gravidanza (su un totale di 632 solamente 379).
A fronte di questa situazione, dovremmo innanzitutto raggiungere chi non comprende o non condivide questi ragionamenti: tutto un mondo condizionato dalla retorica e dagli stereotipi di genere. In questo, crediamo che la scuola, l’università e più in generale i luoghi della formazione debbano svolgere un ruolo specifico e particolare, nell’ottica di sensibilizzare a queste tematiche, a partire ad esempio dall’educazione sessuale nelle scuole. Si tratta di percorsi che, se sul breve periodo hanno dei risultati evidenti – come la riduzione delle malattie sessualmente trasmissibili – , anche sul lungo periodo favoriscono la crescita di consapevolezza riguardo i diritti di genere, il rispetto dell’identità di genere, e una maggior sensibilità rispetto a queste tematiche.

La riflessione intorno al tema della violenza di genere deve ripartire dai diritti, per tutte e per tutti. Il diritto ad un’istruzione che finalmente si evolva e sappia affrontare i temi della sessualità, dell’affettività, delle differenze di genere; il diritto ad un sistema di welfare che finalmente permetta ad una donna di far convivere vita familiare con vita lavorativa; il diritto all’efficace funzionamento dei centri anti violenza e delle strutture di ascolto.

Perchè senza uguaglianza sostanziale, non c’è progresso sociale.

#diritticontrolaviolenza, questo chiediamo: vogliamo che il 25 novembre non sia solo una semplice data da celebrare, ma un giorno per ricordare a noi tutte e tutti che un impegno concreto per l’affermazione dei diritti è necessario.

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