Ormai da giorni è al centro dell’attenzione mediatica quanto successo a Bologna, e più precisamente nella biblioteca di Via Zamboni 36. A seguito della decisione del Rettore di installare i tornelli all’accesso della biblioteca, allo scopo di porre un freno a delle situazioni di degrado che si verificavano sempre più spesso all’interno della sala studio, i collettivi bolognesi e più precisamente il CUA ha deciso di iniziare una protesta contro tale misura. La protesta è iniziata con la rimozione fisica dei tornelli ed è continuata con l’occupazione della biblioteca stessa. Davanti a questa decisione dei collettivi, il Rettore ha ritenuto giusto chiedere l’intervento della Polizia, che in assetto antisommossa è intervenuta e ha sgomberato la sala studio piena di studenti, molti dei quali nemmeno appartenenti a collettivi o associazioni.
Da lì, una continua escalation con prese di posizione da parte di molti soggetti, interni ed esterni alla comunità accademica, interni ed esterni alla città di Bologna: noi stessi abbiamo sentito l’esigenza e il dovere di dire la nostra.
Inutile ribadire come il nostro agire e i nostri metodi siano sempre stati molto distanti da quelli messi in campo dai collettivi: abbiamo sempre scelto la via del dialogo, anche molto duro e accesso, riportando le istanze degli studenti e rimanendo ben distanti dall’uso della violenza; anche la scelta di azioni di conflitto come occupazioni sono sempre state l’estrema ratio, applicata di fronte alla sordità dei nostri interlocutori.
Tuttavia, così come detto già nelle ore successive ai primi articoli e alle prime immagini che arrivavano da Bologna, riteniamo che questa volta sia stato proprio il Rettore che dovrebbe essere chiamato a rappresentare tutta la comunità accademica, a commettere un errore.
Da sempre continuiamo a ripetere come l’istruzione tutti e l’Università in modo particolare abbia perso il proprio ruolo all’interno della società: ha smesso di essere ascensore sociale, strumento di emancipazione per coloro che vedevano nella cultura e nell’istruzione un modo per darsi un futuro diverso. Quella intrapresa negli ultimi anni da parte dei vari governi che si sono succeduti ad ogni livello è la direzione diametralmente opposta: tagli sanguinari, trasversali e continui ai finanziamenti degli atenei e al diritto allo studio, politiche di accesso sempre più restrittive e dettate solo ed esclusivamente dalle logiche e dalle dinamiche del mercato del lavoro, una prospettiva occupazionale giovanile tra le più basse d’Europa hanno fatto sì che sempre meno studenti hanno visto nel prosieguo dei percorsi di studio un’opportunità per un futuro migliore, sempre meno famiglie hanno visto nella formazione dei propri figli una priorità d’investimento negli anni della crisi. Ecco come l’Università italiana è diventata elitaria e classista, ecco come assistiamo ad un crollo degli iscritti e degli immatricolati, crollo di cui molto spesso le istituzioni fanno finta di non rendersi conto, di non vedere o peggio lo esaltano mascherandolo dietro la vuota retorica del merito e della selezione dei migliori.
Allo stesso modo, l’inclusione sociale e il contrasto alle tossicodipendenze non sono stati al centro del dibattito nel nostro paese. Tutto viene relegato al termine “degrado”, alla stigmatizzazione e alla criminalizzazione del consumo delle droghe. Il contesto bolognese, così come quello di molte altre città, risente a cascata dell’assenza di uno stato sociale che si occupi delle persone, preferendo reprimere a valle quei fenomeni che possono essere risolti davvero solo alla fonte.
In ogni caso riteniamo le scelte del Rettore dell’Università di Bologna una sconfitta: i tornelli rappresentano un pugno in faccia, in un luogo che dovrebbe essere simbolo di inclusione e interazione, di crescita e di confronto come una biblioteca in cui tutti dovrebbero essere ben accetti ad anzi invogliati ad entrare. Se pure la sala studio aveva raggiunto una situazione di disagio, non è di certo con i tornelli che questa sarebbe stata risolta: non è creando un clima di terrore che si eliminano i problemi, ma costruendo percorsi condivisi da tutta la comunità accademica e soprattutto soluzioni di sistema. Il tema del “degrado” delle città e molto spesso, purtroppo, delle zone universitarie, necessita di azioni delle istituzioni pubbliche ben complesse. Problemi di poca sicurezza e degrado vanno risolti con l’integrazione, con investimenti nei servizi pubblici, con un dialogo costante tra le amministrazioni pubbliche e le parti sociali coinvolte. Ancora meno comprensibile è la scelta di reprimere con l’uso della forza e con l’intervento della Polizia la protesta degli studenti: l’intervento delle forze dell’ordine è risultato senza ombra di dubbio eccessivo, a maggior ragione per la violenza che lo ha caratterizzato. A questo si aggiunge che questo è avvenuto solo dopo poche ore dall’inizio dell’occupazione, senza che vi siano stati, come riportano i giornali, tentativi di interlocuzione. Il rettore, inoltre, in questo modo non ha colpito soltanto chi si era fatto promotore della protesta, ma anche studenti “estranei” che si trovavano in quel luogo per studiare. Per questo quelle immagini fanno ancora più male e ci spingono a condannare in ogni modo la violenza, anche e soprattutto quando viene dall’Università e dalle forze dell’ordine.
Tutto quello che è venuto dopo, dalle prese di posizione di autorevoli esponenti, che condannano senza alcun tipo di analisi sulle ragioni delle proteste dei collettivi e sul malessere che come studenti viviamo ogni giorno, alle manifestazioni dei collettivi, purtroppo sfociate in una violenza che non abbiamo difficoltà a condannare anch’essa, sono proprio quello che noi riteniamo profondamente sbagliato: l’arroccarsi di entrambe le parti sulle proprie cristalline posizioni, difendendo una pretesa ragione, dimenticandosi che l’unica possibilità come sempre è data dal confronto.
Come organizzazione presente nell’ateneo dell’Alma Mater e come principale sindacato studentesco continueremo a batterci in ogni modo ed in ogni luogo perché si riparta da qui: dal confronto e dall’ascolto reciproco. È necessario ripartire dagli studenti, dalle loro istanze, dall’ascolto della loro preoccupazioni, altrimenti a perderci sarà l’Università stessa, sempre più svuotata del proprio ruolo e della propria essenza, sempre più ristretta nella partecipazione.
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