“La logica universitaria è questa… è un mondo di merda… è un mondo di merda… quindi purtroppo è un do ut des”. Sono le parole, riportate dal quotidiano “La Stampa” in un articolo sull’inchiesta per corruzione riguardante l’Abilitazione Scientifica Nazionale nel settore del diritto tributario, di uno dei professori indagati che durante un’intercettazione avrebbe così “descritto” a grandi linee il sistema.
Per quanto riguarda l’inchiesta sarà ora necessario attendere il processo e le sentenze, prima che queste vengano emesse, come in realtà già sta succedendo, sulle pagine dei quotidiani.
In quella riga di intercettazione, però, vengono sintetizzati i due volti della discussione che si è levata in merito a quanto emerso dalle indagini della Procura di Firenze.
Il primo aspetto riguarda l’inchiesta in sé.
Molti commentatori, anche autorevoli, tra cui alcuni Rettori, stanno già puntando il dito contro lo “strumento concorso”, in quanto intrinsecamente criminogeno. L’elemento da sottolineare, invece, rimane uno: se le accuse dovessero essere confermate, i fatti mostrerebbero persone nel sistema universitario disposte a commettere un reato pur di far valere il proprio potere, a discapito delle regole, di qualsiasi sistema di regole. Con questo modello concorsuale o con qualsiasi altro, permarrebbe l’esistenza di persone disposte a violare le leggi per poter affermare un proprio clientelismo baronale portato a una folle estremizzazione. C’è una questione etica nell’università. Tuttavia, per smantellare il “vile criterio del commercio dei posti”, non sarà sufficiente cambiare le commissioni né semplificare la normativa.
Il secondo aspetto riguarda, invece, il sistema. Il “mondo di merda”, appunto.
La retorica dell’inesorabilità contenuta nelle parole dell’intercettato non caratterizza solo le conversazioni degli indagati che abbiamo potuto leggere in questi giorni, ma anche l’atteggiamento generalizzato di chi vive ogni Dipartimento, Facoltà o organo delle nostre università. L’inesorabilità di vivere in un sistema in cui il mantenimento dello status quo è il principio inviolabile: si è sempre fatto così e così deve rimanere. Questa narrazione è sempre stata forte all’interno del sistema universitario, un sistema chiuso, che ha avuto per un breve periodo la possibilità di aprirsi, di diventare sistema di istruzione avanzata di massa. Quel breve periodo è risultato essere un’illusione, spezzata definitivamente e il sistema è stato rinchiuso ermeticamente su se stesso. Il sottofinanziamento attuale, causato dai tagli del 2008 e dall’impianto folle della riforma Gelmini del 2010, è semplicemente l’elemento finale alla base della distruzione del sistema universitario. L’assenza di fondi ha imposto la concorrenza spietata all’interno del sistema, che annulla completamente le discussioni riguardanti le necessità di carattere scientifico e strategico per la formazione degli studenti e per lo sviluppo della ricerca, ponendosi invece come unico obiettivo l’accaparramento di risorse e posti, rendendo chi aspira alla carriera accademica più solo e ricattabile: a ogni rappresentante degli studenti capita, durante il proprio mandato, di assistere almeno a una discussione in cui docenti di vari settori scientifici disciplinari si scannano per poter ottenere i fondi per l’assunzione di un docente o di un ricercatore, o addirittura per avere delle briciole di finanziamento per rinnovare l’abbonamento a una rivista o comprare delle provette e un microscopio.
In uno scenario caratterizzato dall’assenza di risorse, la lotta è per la sopravvivenza: per chi vede l’Università come una missione sociale la sopravvivenza è la possibilità di mandare avanti le proprie ricerche, il proprio settore, il proprio Dipartimento e la propria università; per chi vede l’Università come il posto in cui esercitare il proprio potere autoreferenziale, la sopravvivenza è il consolidamento e la difesa di un ruolo baronale da esercitare in punta di diritto, per poter aver voce in capitolo nelle decisioni strategiche nel proprio settore, nel proprio Dipartimento e nella propria università. Quel potere baronale il più delle volte viene esercitato sul filo del diritto e quando dovesse comportarne una violazione, la denuncia il più delle volte sta in capo a singoli coraggiosi, pronti a sfidare un consolidato rapporto di subalternità . È l’esistenza stessa di rapporti gerarchici ad essere alla base del potere baronale. E i ruoli subalterni all’interno dell’università oggi possono essere molteplici: tutte le figure precarie create dalla Legge Gelmini creano una sacca di precarietà senza diritti, impotenti di fronti a eventuali ingiustizie, più o meno illegali, che dovessero incontrare durante la propria carriera accademica. È oggi sempre più necessario eliminare ogni inutile suddivisione in ruoli subordinati, all’interno della categoria “docente” così come nella comunità accademica nella suo complesso, e includere tutte le componenti a pieno titolo nei processi decisionali.
L’Unione degli Universitari è stata in piazza fin dai tagli lineari di Tremonti, quando la Ministra Gelmini dipingeva la propria riforma come la soluzione al baronato nelle università: non c’era bisogno di questa inchiesta per dire che quella riforma non avrebbe risolto niente! Anzi, i tagli consolidati da quella riforma, la creazione di quel precariato universitario che oggi rappresenta una colonna portante dell’università e il disegno di trasformazione della componente studentesca in clienti di un servizio hanno ancor più accentuato la chiusura del sistema. La volontà era quella di escludere gli studenti dalla comunità accademica e frammentare ulteriormente i ruoli presenti, in modo da accentuare ancor più lo scontro tra componenti iper-frammentate.
In quella riforma mancavano, e mancano tutt’oggi, reali strumenti di contrasto ai fenomeni corruttivi all’interno del sistema universitario, tanto che nel piano anticorruzione dell’ANAC di quest’anno fa capolino l’università. Ma non basta: è necessario lavorare sulla trasparenza degli atti e delle procedure che, invece, risultano sempre più complesse. Serve una preparazione tecnica sempre più avanzata anche solo per comprendere le singole procedure interne all’università, appesantite da una burocrazia che, invece di essere utile a contrastare l’illegalità, spesso crea una pesante coltre di fumo.
L’ipertrofia valutativa, poi, è un argomento a sé stante: non potrà mai essere uno strumento utile a contrastare comportamenti clientelari e, oltre ad aver portato un dilagante malcontento nell’Università, ha acuito quella competizione che sta alla radice culturale dei comportamenti baronali. La valutazione deve trasformarsi in assicurazione della qualità: l’utilizzo di una presunta valutazione per l’assegnazione delle risorse risulta essere solamente un inutile artificio tecnico.
Dentro alle università c’è una parte sana, che vuole semplicemente “svolgere un proprio ruolo”: vuole studiare, vuole fare Ricerca, vuole fare Didattica, vuole portare il sapere al di fuori delle mura dell’Università. È quella parte sana che chiede di superare la competizione malata, dai test d’ingresso per i corsi a numero chiuso fino alla gara tra Università per il finanziamento statale. Bisogna invece instaurare una cooperazione virtuosa dove tutti coloro che vogliano proseguire gli studi e tutti coloro che vogliono dedicare la propria vita all’accademia come insegnanti o ricercatori possano farlo, senza dover affrontare continue frustrazioni e ingiustizie.
La voce sana dell’Università, maggioritaria, deve prevalere. Non ci appartiene e non ci rassegniamo alla logica dell’inesorabilità dell’esistente, della conservazione dello status quo, del sottofinanziamento che va accettato a capo chino, del fatto che per completare gli studi sono necessari sacrifici economici enormi, del fatto che per diventare professori universitari sia inesorabile affrontare un precariato di 30 anni. Non ci appartiene la logica per cui tutto il sistema universitario sia marcio.
“È un mondo di merda”. Sì, e la colpa è proprio degli stessi che lo accettano.
Ma noi studenti non smetteremo di lottare, ogni giorno, con chi sarà al nostro fianco affinché da questo letame nascano i fior.
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