Lauree professionalizzanti. Il 29 novembre scorso è stato emanato il decreto ministeriale 935/2017, che interviene sui meccanismi di correzione dei processi di accreditamento, valutazione e autovalutazione dei corsi di studio e sull’introduzione delle cosiddette “lauree professionalizzanti” a cominciare dal prossimo anno.
Con il decreto scompare la norma che prevedeva l’impossibilità di aprire nuovi corsi in assenza del mancato rispetto dei requisiti sul rapporto docenti/studenti. Questo intervento cerca di dare una parziale risposta alla problematica da noi più volte sollevata del proliferare di corsi ad accesso programmato, la cui introduzione in larghissimi casi è stata motivata come necessaria per rientrare nei parametri dettati da AVA 2.0. Non serve ricordare come il TAR si sia più volte espresso sul tema, dando ragione all’UDU: è evidente, però, come questo sistema di valutazione, fortemente improntato su una logica punitiva, continui a mietere vittime. Quindi la revisione di un singolo comma, seppur utile a risanare alcune situazioni, riteniamo che non possa essere sufficiente a fare passi in avanti concreti, perché parziale e a valle di un sistema sbagliato a monte. Va ripensato tutto il meccanismo e il ruolo stesso che la valutazione deve assumere nel sistema universitario italiano: un vero modello di assicurazione della qualità e non un insieme di calcoli finalizzati ad una distribuzione diseguale dei pochi fondi investiti.
Sulle lauree professionalizzanti si certifica la sordità di un Ministero, che, come abbiamo denunciato da subito, ha appaltato la definizione di tali percorsi alle imprese e agli ordini professionali, avallando il lento scivolamento verso una subalternità dell’istruzione alle logiche dell’attuale mercato del lavoro. Si è evitato l’ascolto della rappresentanza studentesca ad ogni livello, istituzionali e non; si sono prodotte linee guida estremamente fumose e che non rispondono in alcun modo alle preoccupazioni che avevamo da subito denunciato. Nonostante gli annunci, nel decreto non ci sono risposte sul rapporto tra i nuovi percorsi e quelli già esistenti, soprattutto in merito alla didattica, né viene specificato come si voglia investire su un reale sistema di orientamento o cosa siano e come siano regolati i tirocini previsti. I corsi restano a numero chiuso e non c’è alcuna indicazione rispetto alla natura abilitativa di questi titoli di laurea, situazione che genererà un’enorme confusione. Non c’è la necessità di pensare percorsi universitari spendibili in ambiti estremamente specifici, settoriali e legati alle necessità delle imprese del territorio, con il serio rischio di creare nuovi tirocinanti sfruttati, spesso sostitutivi rispetto alla vera manodopera. Non è questo il compito dell’università: piuttosto si è persa un’occasione per ridiscutere seriamente di un modello di università che sia connesso con un mondo del lavoro in costante evoluzione e che sia in grado di interagire positivamente con il tessuto produttivo invece che subirne passivamente le influenze.
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