È stata presentata oggi alla Camera dei deputati l’indagine sugli studenti lavoratori promossa dall’Unione degli Universitari e dalla Cgil, realizzata dalla Fondazione Di Vittorio. I risultati sono stati ottenuti grazie alla somministrazione di quasi 13mila questionari in tutta Italia.

 

In 365mila studiano e lavorano, il 17% degli iscritti totali

L’iniziativa si propone di indagare le condizioni delle 365mila persone che studiano all’università e lavorano contemporaneamente, pari al 17% degli iscritti totali nelle facoltà italiane. Di questi, si contano 242mila studenti under30 che lavorano, il 13% degli universitari pari età. Essi sono attivi nei settori più disparati, anche se il 31% lavora nella vendita al pubblico come commesso o cameriere. Le motivazioni più diffuse per lavorare sono quelle di mettere dei soldi da parte (90%) e di essere indipendenti dalla propria famiglia (88%). Ma spesso gli studenti decidono di lavorare per sostenere i costi dello studio (83%) e per poter provvedere a sé stessi, in carenza di un supporto economico familiare (82%).

 

Lavorare non è una scelta libera, ma una scelta obbligata

“Lavorare non è una scelta libera – commenta Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu – ma spesso diventa una scelta obbligata per difficoltà economiche e carenze sul diritto allo studio. Solo il 40% dei rispondenti ha dichiarato che potrebbe permettersi gli studi anche senza lavorare”.

“L’impatto sulla vita accademica – aggiunge Piredda – è terribile. I principali problemi lamentati dagli studenti sono legati alla socializzazione, con il 65% dei rispondenti che ci dice come socializzare con i colleghi risulti impossibile o comunque molto difficile; ancora peggio per la partecipazione alle associazioni studentesche, dove lamenta gravi problemi l’83% del campione. Si registrano poi ulteriori limiti: il 61% trova molto difficile frequentare lezioni, il 56% sostenere regolarmente gli esami, il 54% a prepararsi ad essi. Non stupisce perciò come metà degli studenti lavoratori pensi di finire fuori corso”.

“Questa situazione – continua la coordinatrice dell’Udu – ha inoltre un impatto molto negativo a livello psicologico. Il 78% dei rispondenti lamenta stress, il 64% ansia e il 34% insonnia. Addirittura, il 20% del campione ha sofferto di depressione, il 13% di disturbi alimentari e il 4% di abuso di sostanze. Sono numeri preoccupanti”.

 

Condizioni di lavoro inaccettabile, salario povero. I referendum fondamentali

La segretaria confederale della Cgil Lara Ghiglione fa notare che “l’attività lavorativa svolta dagli studenti è caratterizzata da precarietà e difficoltà a organizzare i turni”. Infatti, il 65% degli studenti lavoratori ritiene che la professione svolta non preveda particolari possibilità di carriera, il 38% lamenta carichi e ritmi di lavoro inadeguati, il 37% una retribuzione inadeguata. “È necessario un deciso cambio di passo – sostiene quindi la dirigente sindacale – e riteniamo che sia urgente un intervento normativo che elimini le forme di lavoro più precarie e caratterizzate da bassi salari. Per questo – ricorda – abbiamo promosso la campagna referendaria, che ci vede impegnate e impegnati in queste settimane nella raccolta delle firme. Vogliamo affermare un principio che deve valere per tutte e tutti, a prescindere dai settori e dalle ragioni per cui si lavora: non deve esistere un lavoro sfruttato, non deve esserci lavoro che non sia accompagnato da sicurezza, salario giusto e dignità”.

L’indagine evidenzia come le risposte siano variabili in base alle fasce d’età: sono infatti gli studenti più giovani ad avere le condizioni peggiori, come dimostrano le retribuzioni. “Esiste un grosso problema salariale: gli studenti under 25 prendono, nella maggior parte dei casi, una retribuzione netta inferiore ai 750€ mensili. E questo per dinamiche di sfruttamento, infatti il 46% degli studenti universitari occupati vive una condizione di disagio lavorativo perché costretto a lavorare con un contratto a termine oppure a tempo parziale”.

Il Presidente della Fondazione Di Vittorio, Francesco Sinopoli, sottolinea invece “la rilevanza di indagare sia il fenomeno dei neet, di chi non studia e non lavora, sia l’altra faccia della medaglia, cioè chi per studiare deve lavorare, affrontando un doppio impegno che è fonte ulteriore di diseguaglianze sociali”.

 

Le possibili soluzioni

Quali le soluzioni? Sul fronte accademico, oltre nove studenti su dieci chiedono a gran voce materiali di supporto per lo studio, aumento delle sessioni di esami e laurea, registrazione delle lezioni. Ma occorre anche intervenire sul Diritto allo Studio, rafforzando borse di studio, alloggi e mense, oltre a limitare il ricorso ai contratti a termine e intensificare i controlli per eliminare i rapporti in nero e le forme di elusione dalla normativa lavoristica e dai contratti collettivi. Proprio in questa direzione vanno i quattro quesiti proposti dalla Cgil e supportati dall’Udu, recentemente depositati presso la Corte di Cassazione.

 

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